Vuoi rendere impossibile per chiunque opprimere un suo simile? Allora assicurati che nessuno possa possedere il potere.
Michail Bakunin
Iniziamo questo
breve excursus sul pensiero anarchico con la lettera che il capo indiano Seattle
inviò al presidente Usa Franklin Pierce in risposta alla proposta di acquisto
di una parte del territorio dei pellirossa.
Ha testimoniare l’universalità
dell’idea anarchica, della sua armonia con la Terra e gli uomini.
Concetti che
prescindono dal tempo, dalle culture, dalle condizioni sociali, dallo spazio,
dal territorio.
L’uomo anarchico
è un uomo libero e limpido non solo esteriormente ma anche e soprattutto interiormente;
nel proprio animo e nel proprio spirito. Ascolta la natura, vive in armonia con
l’ambiente circostante e nella solidarietà con i propri simili
Lettera del capo indiano Seattle
Lettera del
capo indiano Seattle al presidente Usa Franklin Pierce
Nel 1854 il
"Grande Bianco" di Washington (il presidente degli Stati Uniti) si offrì
di acquistare una parte del territorio indiano e promise di istituirvi una
"riserva" per il popolo indiano. Ecco la risposta del "capo
Seattle", considerata ancora oggi la più bella, la più profonda
dichiarazione mai fatta sull'ambiente.
"Come potete acquistare o vendere il cielo, il calore della terra? L'idea ci sembra strana. Se noi non possediamo la freschezza dell'aria, lo scintillio dell'acqua sotto il sole come è che voi potete acquistarli? Ogni parco di questa terra è sacro per il mio popolo. Ogni lucente ago di pino, ogni riva sabbiosa, ogni lembo di bruma dei boschi ombrosi, ogni radura ogni ronzio di insetti e' sacro nel ricordo e nell'esperienza del mio popolo. La linfa che cola negli alberi porta con se' il ricordo dell'uomo rosso. Noi siamo una parte della terra, e la terra fa parte di noi. I fiori profumati sono i nostri fratelli, il cavallo, la grande aquila sono i nostri fratelli, la cresta rocciosa, il verde dei prati, il calore dei pony e l'uomo appartengono tutti alla stessa famiglia. Quest'acqua scintillante che scorre nei torrenti e nei fiumi non e' solamente acqua, per noi e' qualcosa di immensamente significativo: e' il sangue dei nostri padri. I fiumi sono nostri fratelli, ci dissetano quando abbiamo sete. I fiumi sostengono le nostre canoe, sfamano i nostri figli. Se vi vendiamo le nostre terre, voi dovrete ricordarvi, e insegnarlo ai vostri figli, che i fiumi sono i nostri e i vostri fratelli e dovrete dimostrare per fiumi lo stesso affetto che dimostrerete ad un fratello. Sappiamo che l'uomo bianco non comprende i nostri costumi. Per lui una parte di terra e' uguale all'altra, perche' e' come uno straniero che arriva di notte e alloggia nel posto che piu' gli conviene. La terra non e' suo fratello, anzi e' suo nemico e quando l'ha conquistata va oltre, piu' lontano. Tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come se fossero semplicemente delle cose da acquistare, prendere e vendere come si fa con i montoni o con le pietre preziose. Il suo appetito divorera' tutta la terra e a lui non restera' che il deserto. Non esiste un posto accessibile nelle citta' dell'uomo bianco. Non esiste un posto per vedere le foglie e i fiori sbocciare in primavera, o ascoltare il fruscio delle ali di un insetto. Ma forse e' perche' io sono un selvaggio e non posso capire. Il baccano sembra insultare le orecchie. E quale interesse puo' avere l'uomo a vivere senza ascoltare il rumore delle capre che succhiano l'erba o il chiacchierio delle rane, la notte, attorno ad uno stagno? Io sono un uomo rosso e non capisco. L'indiano preferisce il dolce suono del vento che slanciandosi come una freccia accarezza la faccia dello stagno, e preferisce l'odore del vento bagnato dalla pioggia mattutina, o profumato dal pino pieno di pigne. L'aria e' preziosa per l'uomo rosso, giacche' tutte le cose respirano con la stessa aria: le bestie, gli alberi, gli uomini tutti respirano la stesa aria. L'uomo bianco non sembra far caso all'aria che respira. Come un uomo che impiega parecchi giorni a morire resta insensibile alle punture. Ma se noi vendiamo le nostre terre, voi dovrete ricordare che l'aria per noi e' preziosa, che l'aria divide il suo spirito con tutti quelli che fa vivere. Il vento che ha dato il primo alito al Nostro Grande Padre e' lo stesso che ha raccolto il suo ultimo respiro. E se noi vi vendiamo le nostre terre voi dovrete guardarle in modo diverso, tenerle per sacre e considerarle un posto in cui anche l'uomo bianco possa andare a gustare il vento reso dolce dai fiori del prato. Considereremo l'offerta di acquistare le nostre terre. Ma se decidiamo di accettare la proposta io porro' una condizione: l'uomo bianco dovra' rispettare le bestie che vivono su questa terra come se fossero suoi fratelli. Che cos'e' l'uomo senza le bestie? Se tutte le bestie sparissero, l'uomo morirebbe di una grande solitudine nello spirito. Poiche' cio' che accade alle bestie prima o poi accade anche all' uomo. Tutte le cose sono legate tra loro. Dovrete insegnare ai vostri figli che il suolo che essi calpestano e' fatto dalle ceneri dei nostri padri. Affinche' i vostri figli rispettino questa terra, dite loro che essa e' arricchita dalle vite della nostra gente. Insegnate ai vostri figli quello che noi abbiamo insegnato ai nostri: la terra e' la madre di tutti noi. Tutto cio' che di buono arriva dalla terra arriva anche ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra, sputano su se stessi. Noi almeno sappiamo questo: la terra non appartiene all'uomo, bensi' e' l'uomo che appartiene alla terra. Questo noi lo sappiamo. Tutte le cose sono legate fra loro come il sangue che unisce i membri della stessa famiglia. Tutte le cose sono legate fra loro. Tutto cio' che si fa per la terra lo si fa per i suoi figli. Non e' l'uomo che ha tessuto le trame della vita: egli ne e' soltanto un filo. Tutto cio' che egli fa alla trama lo fa a se stesso. C'e' una cosa che noi sappiamo e che forse l'uomo bianco scoprira' presto: il nostro Dio e' lo stesso vostro Dio. Voi forse pensate che adesso lo possedete come volete possedere le nostre terre ma non lo potete. Egli e' il Dio dell'uomo e la sua pieta' e' uguale per tutti: tanto per l'uomo bianco quanto per l'uomo rosso. Questa terra per lui e' preziosa.Nuocere alla terra è come disprezzare il suo creatore.Anche i bianchi spariranno: forse prima di tutte le altre tribù.Contaminate il vostro letto ed una notte vi troverete soffocati dai vostri rifiuti. Dov'e' finito il bosco? E' scomparso. Dov'e' finita l'aquila? E' scomparsa. E' la fine della vita e l'inizio della sopravvivenza". |
Anarchia
Il termine
“an-archia” deriva dal greco “αναρχία”, parola composta dalla radice α-(a-), senza, e dalla radice αρχ- (arch), governo, dominio, e viene solitamente tradotto con le
espressioni “senza-comando”, “senza-potere”, “senza-autorità”. “Archi” (archi),
primo termine di numerosi composti, deriva dal verbo “archein”, archein,
comandare. Così “archia”, archia, da “archos”, archos, “arca”, nelle parole composte
dotte significa “governo”, “dominio” (mon-archia, olig-archia) e “an-archos”,
an-archos, può essere pertanto tradotto “senza un superiore”. Ma si considera
anche, come secondo termine, “arch ”, arché, che unito alla radice α- diviene “an-arch”, an-arché.
“Arché” però, prima ancora di “comando”, “potere”, “autorità”, significa
“principio”, “origine e fine di tutte le cose”, perciò “anarchia” può anche
voler dire “senza principio”, “senza divinità”, “senza dogmi”.
Una delle
definizioni del pensiero anarchico (in forma sintetica) è infatti “né Dio né
padrone”. Sébastien Faure disse: “Chiunque neghi l'autorità e combatta contro
di essa è un anarchico”. Definizione molto semplice, e per questo incompleta e
alla fine fuorviante. Il pensiero anarchico è in realtà un pensiero complesso,
policromo, talvolta contraddittorio. Semplificarlo non aiuta a conoscerlo e a
liberarsi dalla confusione cui accennavamo prima. E' un pensiero che ha una sua
storia peculiare e un proprio originale nucleo teorico-concettuale, che lo
distingue da altre dottrine politiche, come il socialismo o il liberalismo, e
che lo rende in un certo senso più ampio di queste, in quanto tende ad
occuparsi dell'intera vita umana e non soltanto della gestione politica o di
quella economica. Ma ciò che soprattutto lo distingue dalle altre dottrine
politiche, è che per l'anarchismo non esiste una “umanità astratta” (di cui
invece trattano tanto il liberalismo quanto il socialismo di stato e il
comunismo autoritario), ma singoli uomini concreti. Il pensiero anarchico
pertanto, diversamente dalle altre dottrine politiche, non ritiene di aver
compreso per via filosofica la “natura” dell'uomo, e non si considera
legittimato a prescrivere un codice morale e un'etica di comportamento che
implichino diritti e doveri uguali per tutti gli uomini. Nell'anarchia è di
fondamentale importanza l'autodeterminazione dell'individuo, di ogni singolo
individuo, che è unico e diverso da tutti gli altri, e il suo totale e pieno
diritto di scelta, di consenso o di rifiuto. Potremmo provare a definirla
quindi una filosofia della libertà. Ma anche così otteniamo una definizione in
un certo senso riduttiva e vaga al tempo stesso. Quello anarchico non è un
pensiero che rimane tale: è un pensiero legato strettamente all'azione, dando
immediata origine all'”anarchismo”. Precisando meglio, l'anarchismo non deriva
da riflessioni astratte di qualche intellettuale o filosofo, ma dalla lotta
diretta dei lavoratori contro il capitalismo, dalla ribellione degli oppressi
contro i loro oppressori, dai bisogni e dalle necessità di questi uomini e
dalle loro aspirazioni di libertà ed eguaglianza. I pensatori anarchici,
quindi, come Bakunin o Kropotkin, non inventarono l'idea dell'anarchismo,
semplicemente la scoprirono nelle masse oppresse e sfruttate e la rafforzarono,
la chiarirono e la divulgarono. E' l'azione pertanto che dà origine al
pensiero. Il fine ultimo dell'anarchismo è infatti quello di un cambiamento
sociale. L'anarchia critica la società esistente, di conseguenza non respinge il
potere terreno in base a considerazioni prettamente filosofiche o religiose
(come i mistici o gli stoici, ad esempio).
Per inciso, si
può, senza eccedere in fantasia, tanto per quanto riguarda il pensiero
anarchico come per altri pensieri “moderni”, fare accostamenti in alcuni punti
con correnti filosofiche più antiche, e in questo caso quindi rilevare alcune
somiglianze tra il pensiero anarchico e lo stesso stoicismo, ad esempio, per la
sua visione cosmopolita, o ancora meglio lo scetticismo, per il suo rifiuto di
ogni dogma, o l'epicureismo, per la sua concezione materialistica e atomistica,
per il suo contatto con la realtà concreta, per la scelta della situazione,
delle persone e dei fatti che meglio si armonizzano con la costituzione
intellettuale dell'individuo, per l'esclusione delle sterili dispute sulle
questioni “supreme”, per la pluralità delle ipotesi, per la vita piacevole
accompagnata però dalla rinuncia “al più”, quindi la semplicità e non lo
spreco, per il suo rifiuto dell’attività politica fine a se stessa, o, ancora,
si può accostare il pensiero e il sentire anarchico ad alcuni aspetti del
libertinismo, per il suo richiamo alla dignità e all'autonomia della ragione
dell'uomo, per il suo volersi emancipare da ogni forma di servitù intellettuale
e per la sua ribellione morale alla legge e alla tradizione invecchiata, a
tutto ciò che non permette all'uomo di liberare la sua creatività, quindi per
quel suo spirito innovativo, scanzonato e ribelle. Portiamo dentro di noi in
vari modi l'intera storia del pensiero che ci ha preceduti, che spesso riemerge
in forme nuove.
Riprendendo il
filo del discorso, l'anarchia, come abbiamo osservato, non sogna un mondo
ultraterreno. Si occupa di questo, dove ora ci troviamo a vivere. Non si
esaurisce in desideri o fughe individuali. Né si è mai considerata un pensiero
elitario. E’ un pensiero concreto e radicato nel mondo che lo circonda, aperto
a tutti quanti gli uomini. Esistono infatti sia il pensiero anarchico che il
movimento anarchico, nelle sue varie fasi, forme ed espressioni. E sono
qualcosa di inscindibile. Uno non può esistere senza l'altro. L'anarchia in
senso astratto non ha senso per gli anarchici, ciò che essi desiderano è
realizzarla concretamente, qui e ora. Le idee da sole non significano nulla: vanno
messe in pratica nella vita di tutti i giorni, in quella pubblica come in
quella privata (per gli anarchici non esiste questa distinzione, così come non
esiste distinzione tra i mezzi e il fine che si vuole raggiungere; non si può
voler ottenere la libertà, ad esempio, restringendola o negandola), tentando di
realizzare in ogni gesto, singolarmente e in comunione con gli altri, quel
mondo più umano, più libero, più giusto, che è al centro dell'ideale anarchico.
A questo punto è necessario osservare come invece nell'immaginario della
maggioranza degli individui il termine “anarchia” venga associato al caos, al
disordine, alla violenza. O all'individualismo e all'egoismo. Oppure, anche
riconoscendola come dottrina socio-politica, si tende ad accostarla al
“nichilismo” o al “terrorismo”. Tutto questo avviene perché tanto la storia del
pensiero anarchico quanto quella del suo movimento sono ben poco conosciute e
sono sempre state tenute in ombra. Non è facile così riuscire a capire che
anarchia non significa affatto disordine: caso mai il suo contrario, nel senso
che gli anarchici tentano di ritrovare, di ricostituire quello che per loro è
l'”ordine naturale” delle cose e della vita, deformato e stravolto nel tempo
dalle varie forme di sopraffazione, di dominio, di sfruttamento e di potere.
Come pensare che uomini come Tolstoj e Godwin, Thoreau e Kropotkin, le cui
teorie sociali sono state definite anarchiche, volessero portare nient'altro
che il caos, il disordine, la violenza nella società? Altrettanto difficile è
in genere comprendere come il rispetto per la libertà dell'individuo, del
singolo, visto spesso, in modo errato, unicamente come esaltazione del singolo,
come puro egoismo, possa unirsi alla solidarietà nei confronti degli altri, in
particolare nei confronti degli oppressi e degli ultimi.
Come deve essere composta, organizzata la società secondo il pensiero anarchico?
Innanzitutto,
nessuna divisione tra governanti e governati, come abbiamo visto.
L'amministrazione
degli affari sociali ed economici sarà affidata a piccoli gruppi locali, libere
associazioni tra individui, senza regie dall'alto, senza padroni o capi di
alcun genere. Quindi federazioni di comuni e di lavoratori, coordinate tra loro
in modo circolare e orizzontale, fondate sull'autogestione e la cooperazione,
una rete organica di interessi che si equilibrano a vicenda, basata sulla
naturale tendenza degli uomini ad aiutarsi reciprocamente, senza necessità
alcuna di schemi artificiali di coercizione (mutualismo edassociazionismo, ad
esempio, fanno parte della storia del movimento anarchico). La produzione sarà
il più possibile locale e differenziata a seconda del terreno,
l'industrializzazione non sarà sfrenata e massiccia, avrà grande importanza
l'artigianato, il lavoro concreto, bello, creativo, gli oggetti fatti per
durare e non “usa e getta” come è nella logica del consumismo. L'impatto
ambientale dovrà essere il più basso possibile. L'anarchia non è una forma
estrema di democrazia: se nella democrazia sovrano è (teoricamente) il popolo,
per gli anarchici “sovrano” deve essere l'individuo, che non ha alcun bisogno
di delegare ad altri la gestione dei suoi interessi né di essere
“rappresentato”, e che ha pieno diritto di scelta. Inoltre, il pensiero
anarchico nega il diritto di qualsiasi maggioranza di imporre la sua volontà a
una minoranza. Nega quindi valore in sé alle leggi degli uomini. “Qualsiasi
legge deve comparire prima di tutto davanti al tribunale della nostra
coscienza.” disse Elisée Reclus, geografo anarchico francese protagonista della
Comune di Parigi. “V'è un solo potere”, scrisse Godwin, “al quale posso
prestare un'obbedienza convinta: la decisione della mia intelligenza, il
comando della mia coscienza.”. L'anarchismo rifiuta poi, oltre a qualsiasi
forma di monopolio dei mezzi di produzione e dei prodotti, così come del
sapere, la divisione gerarchica del lavoro (intellettuale e manuale) e
qualsiasi dicotomia e antagonismo tra città e campagna, tra mente e corpo. Né
può l'anarchismo essere qualificato come “ideologia”, perché sempre aperto, mai
dogmatico, contrario da sempre a qualsiasi astratta norma morale e a qualsiasi
servitù del pensiero.
La libertà genera l'anarchia, l'anarchia conduce al dispotismo e il dispotismo riporta la libertà.
Honoré de Balzac, La pelle di zigrino, 1831
Errico Malatesta |
COSA VOGLIONO GLI ANARCHICI
A riguardo è interessante un estratto del
programma anarchico, (riproposto a fine
articolo nella sua interezza), scritto da Errico Malatesta (14/12/1853 - 22/7/1932),
probabilmente il più importante esponente del movimento anarchico che la storia
italiana ricordi.
Cosa vogliamo? di Errico Malatesta
Noi crediamo che la più gran parte dei mali che affliggono gli uomini dipende dalla cattiva
organizzazione sociale, e che gli uomini, volendo e sapendo, possono distruggerli.
La società attuale è il risultato delle lotte secolari che gli uomini han combattuto tra di loro. Non comprendendo i vantaggi che potevano venire a tutti dalla cooperazione e dalla solidarietà, vedendo in ogni altro uomo (salvo al massimo i più vicini per vincoli di sangue) un concorrente ed un nemico, ha cercato di accaparrare, ciascun per sé, la più gran quantità di godimenti possibile, senza curarsi degli interessi degli altri. Data la lotta, naturalmente i più forti, o i più fortunati, dovevano vincere, ed in vario modo sottoporre ed opprimere i vinti.Fino a che l’uomo non fu capace di produrre di più di quello che bastava strettamente al suo mantenimento, i vincitori non potevano che fugare o massacrare i vinti ed impossessarsi degli alimenti da essi raccolti. Poi, quando con la scoperta della pastorizia e dell’agricoltura un uomo potette produrre più di ciò che gli occorreva per vivere, i vincitori si accorsero che era più comodo, più produttivo e più sicuro sfruttare il lavoro altrui con un altro sistema: ritenere per sé la proprietà esclusiva della terra e di tutti i mezzi di lavoro, e lasciar nominalmente liberi gli spogliati, i quali poi, non avendo mezzi di vivere, erano costretti a ricorrere ai proprietari ed a lavorare per conto loro, ai patti che essi volevano.
Così, man mano, attraverso tutta una rete complicatissima di lotte di ogni specie, invasioni, guerre, ribellioni, repressioni, concessioni strappate, associazioni di vinti unitisi per la difesa, e di vincitori unitisi per l’offesa, si è giunti allo stato attuale della società, in cui alcuni detengono ereditariamentela terra e tutta la ricchezza sociale, mentre la grande massa degli uomini, diseredata di tutto, è sfruttata ed oppressa dai pochi proprietari. Da questo dipendono lo stato di miseria in cui si trovano generalmente i lavoratori, e tutti i mali che dalla miseria derivano: ignoranza, delitti, prostituzione, deperimento fisico, abiezione morale, morte prematura. Da questo, la costituzione di una classe speciale (il governo), la quale,fornita di mezzi materiali di repressione, ha missione di legalizzare e difendere i proprietari contro le rivendicazioni dei proletari; e poi si serve della forza che ha, per creare a se stessa dei privilegi e sottomettere, se può, alla sua supremazia anche la stessa classe proprietaria. Da questo la costituzione di un’altra classe speciale (il clero), la quale con una serie di favole sulla volontà di Dio, sulla vita futura, ecc., cerca d’indurre gli oppressi a sopportare docilmente l’oppressione, ed al pari del governo, oltre di fare gli interessi dei proprietari, fa anche i suoi propri. Da questo, la formazione di una scienza ufficiale che è, in tutto ciò che può servire agl’interessi dei dominatori, la negazione della scienza vera. Da questo, lo spirito patriottico, gli odi di razza, le guerre, e le paci armate talvolta più disastrose delle guerre stesse. Da questo, l’amore trasformato in tormento o in turpe mercato. Da ciò l’odio più o meno larvato, la rivalità, il sospetto fra tutti gli uomini, l’incertezza e la paura per tutti. Tale stato di cose noi vogliamo radicalmente cambiare. E poiché tutti questi mali derivano dalla lotta fra gli uomini, dalla ricerca del benessere fatta da ciascuno per conto suo e contro tutti, noi vogliamo rimediarvi sostituendo all’odio l’amore, alla concorrenza la solidarietà, alla ricerca esclusiva del proprio benessere la cooperazione fraterna per il benessere di tutti, alla oppressione ed all’imposizione scientifica la verità.
Dunque:
1. Abolizione della proprietà privata della terra, delle materie
prime e degli strumenti di lavoro, perché nessuno abbia il mezzo di vivere sfruttando il
lavoro altrui, e tutti, avendo garantiti i mezzi per produrre e vivere, siano veramente
indipendenti e possano associarsi agli altri liberamente, per l’interesse comune e conformemente alle
proprie simpatie.
2. Abolizione del governo e di ogni potere che faccia la legge e
la imponga agli altri: quindi
abolizione di monarchie, repubbliche, parlamenti, eserciti,
polizie, magistratura ed ogni qualsiasi istituzione dotata di mezzi coercitivi.
3. Organizzazione della vita sociale per opera di libere
associazioni e federazioni di produttori
e di consumatori, fatte e modificate secondo la volontà dei
componenti, guidati dalla scienza e
dall’esperienza e liberi da ogni imposizione che non derivi
dalle necessità naturali, a cui
ognuno, vinto dal sentimento stesso della necessità
ineluttabile, volontariamente, si sottomette.
4. Garantiti i mezzi di vita, di sviluppo, di benessere ai
fanciulli, ed a tutti coloro che sono
impotenti a provvedere a loro stessi.
5. Guerra alle religioni ed a tutte le menzogne, anche se si
nascondono sotto il manto della
scienza. Istruzione scientifica per tutti e fino ai suoi gradi
più elevati.
6. Guerra alle rivalità ed ai pregiudizi patriottici. Abolizione
delle frontiere, fratellanza fra
tutti i popoli.
7. Ricostruzione della famiglia, in quel modo che risulterà
dalla pratica dell’amore, libero da
ogni vincolo legale, da ogni oppressione economica o fisica, da
ogni pregiudizio religioso.
Questo il nostro ideale.
L'essenza dell'anarchia: la condizione in cui ognuno può scegliere nella vita qualsiasi ruolo e rappresentarlo fino in fondo.
Julian Beck
La rivoluzione, per gli
anarchici, è da intendersi prima di tutto rivoluzione sociale, non
meramente politica. E’ la rivoluzione del popolo. Ed è proprio per questo che
ad ogni rivoluzione del popolo (che ne fosse promotore o partecipe con altre
classi sociali) è sempre stato impedito di andare avanti oltre un certo punto,
è per questo che ogni rivoluzione che voleva essere rivoluzione sociale oltre
che politica è stata soffocata e tradita. Il potere e i privilegi (contro cui
il popolo lottava) non dovevano scomparire, infatti, ma solo passare di mano. E
la lotta del popolo è servita a questo, è stata strumentalizzata a questo scopo
da chi di volta in volta ha assunto la regia della rivoluzione. La rabbia e la
volontà di lotta e di cambiamento sociale espresse dal popolo sono state usate
finché potevano essere utili, poi messe da parte, tradite o punite duramente
quando non ve ne era più bisogno. Questa vicenda si è ripetuta più di una volta
nella storia, con le varie differenze dovute al contesto, al luogo e al
periodo, che si tratti della rivoluzione inglese, francese, messicana, russa,
spagnola. E’ una storia poco conosciuta e compresa, e che solo gli anarchici
hanno raccontato fino in fondo.
Per quanto
riguarda l'uso della violenza, bisogna
innanzitutto osservare che anarchia significa non-violenza, dal momento che
significa non-imposizione dell'uomo sull'uomo, come sottolineava l'anarchico
Errico Malatesta (1853-1932). La società alla quale tende l'anarchismo è
infatti una società pacifica. Le differenze sono emerse nel momento di
scegliere (a seconda anche delle circostanze e del momento storico contingente,
ad esempio sotto una dittatura, o appunto nel corso di una rivoluzione) quali
mezzi adoperare per raggiungere o avvicinarsi alla società desiderata, quindi
ci sono stati coloro che hanno adottato l'uso individuale della violenza, altri
invece un suo uso di massa, ma sempre come unica scelta possibile all'interno
della realtà concreta e determinata in cui si sono trovati a dover agire. E la
violenza da usare è sempre soltanto quella necessaria, niente di peggio o di
più.
Perchè essere
anarchici oggi?
In un mondo senza valori in cui si perde il senso della realtà, dove ipocrisia e falsità ci sovrastano insieme all'iper tecnologia, ai voli low cost, al calcio in tv, ai programmi demenziali, (tutta immondizia fornita al popolo dai nostri governi pseudo democratici per distoglierlo dalla realtà, dai problemi quotidiani in modo tale che si possano in continuazione perpetrare abusi e malefatte da parte di chi gestisce il potere), ci si trova più oppressi di prima. Ma questo tipo di oppressione, (indiretta, non quantificabile, aleatoria), è più subdola rispetto all'oppressione reale, allo sfruttamento dei secoli precedenti, perchè coinvolge tutti, o meglio tutti coloro che lo vogliono.
Oggi è più comodo subire un pensiero, un idea anche se questi non sono per noi la migliore soluzione; che cosa è il futuro? e il nostro domani dove ci porterà ?
Ormai non si pensa che a riempirci la pancia o meglio a prendere tutto che quello che lo sovrastrutture che ci dominano, ci forniscono. Siamo schiavi più di prima!
Essere anarchici ora può essere una soluzione: pensare in maniera anarchica, avere la consapevolezza degli squilibri di questo tempo, cercare, nel nostro piccolo di livellarli, far capire agli altri la loro condizione, diffondere l'esigenza di un uomo libero ed uguale.
Tutto ciò, forse, può farci vivere questa vita, fondamentalmente senza senso, in maniera meno sofferente e darci una scopo, che, benchè irraggiungibile, almeno ci sa sentire vivi.
Errico Malatesta
IL PROGRAMMA ANARCHICO (1919)
IL PROGRAMMA ANARCHICO (1919)
Il programma
dell'Unione Anarchica Italiana è il programma comunista anarchico
rivoluzionario, che già da cinquant'anni fu sostenuto in Italia nel seno della
I Internazionale sotto il nome di programma socialista, che più tardi si
distinse col nome di socialista anarchico, e che poi, in seguito e per reazione
alla crescente degenerazione autoritaria e parlamentare dei movimento
socialista, si disse semplicemente anarchico.
1. Che cosa
vogliamo
Noi crediamo che
la più gran parte dei mali che affliggono gli uomini dipende dalla cattiva
organizzazione sociale, e che gli uomini volendo e sapendo, possono distruggerli.
La società
attuale è il risultato delle lotte secolari che gli uomini han combattuto tra
di loro. Non comprendendo i vantaggi che potevano venire a tutti dalla
cooperazione e dalla solidarietà, vedendo in ogni altro uomo (salvo al massimo
i più vicini per vincoli di sangue) un concorrente ed un nemico, han cercato di
accaparrare, ciascun per sé, la più grande quantità di godimenti possibili,
senza curarsi degli interessi degli altri. Data la lotta, naturalmente i più
forti, o i più fortunati, dovevano vincere ed in vario modo sottoporre ed
opprimere i vinti.
Fino a che l'uomo
non fu capace di produrre di più di quello che bastava strettamente al suo
mantenimento, i vincitori non potevano che fugare e massacrare i vinti ed
impossessarsi degli alimenti da essi raccolti.
Poi, quando con
la scoperta della pastorizia e dell'agricoltura un uomo potè produrre più di
ciò che gli occorreva per vivere, i vincitori trovarono più conveniente ridurre
i vinti in schiavitù e farli lavorare per loro.
Più tardi, i
vincitori si accorsero che era più comodo, più produttivo e più sicuro
sfruttare il lavoro altrui con un altro sistema: ritenere per sé la proprietà
esclusiva della terra e di tutti ì mezzi di lavoro, e lasciar nominalmente
liberi gli spogliati, i quali poi non avendo mezzi di vivere, erano costretti a
ricorrere ai proprietari ed a lavorare per conto loro, ai patti che essi
volevano.
Così, man mano,
attraverso tutta una rete complicatissima di lotte di ogni specie, invasioni,
guerre, ribellioni, repressioni, concessioni strappate, associazioni di vinti
unitisi per la difesa, e di vincitori unitisi per l'offesa, si è giunti allo
stato attuale della società in cui alcuni detengono ereditariamente la terra e
tutta la ricchezza sociale, mentre la gran massa degli uomini, diseredata di
tutto, è sfruttata ed oppressa dai pochi proprietari.
Da questo
dipendono lo stato di miseria in cui si trovano generalmente i lavoratori, e
tutti i mali che dalla miseria derivano: ignoranza, delitti, prostituzione. Da
questo, la costituzione di una classe speciale (governo), la quale, fornita di
mezzi materiali di repressione, ha missione di legalizzare e difendere i
proprietari contro le rivendicazioni dei proletari; e poi si serve della forza
che ha, per creare a sé stessa dei privilegi e sottomettere, se può, alla sua
supremazia anche la stessa classe proprietaria. Da questo, la costituzione di
un'altra classe speciale (il clero), la quale con una serie di favole sulla
volontà di Dio, sulla vita futura, ecc., cerca d'indurre gli oppressi a
sopportare docilmente l'oppres-sione, ed al pari del Governo oltre di fare gli
interessi dei proprietari, fa anche i suoi propri. Da questo, la formazione di
una scienza ufficiale che è, in tutto ciò che può servire agl'interessi dei
dominatori, la negazione della scienza vera. Da questo, lo spirito patriottico,
gli odi di razza, le guerre, e le paci armate talvolta più disastrose delle
guerre stesse. Da questo, l'amore trasformato in tormento o in turpe mercato.
Da ciò l'odio più o meno larvato, la rivalità, il sospetto fra tutti gli
uomini, l'incertezza e la paura per tutti.
Tale stato di
cose noi vogliamo radicalmente cambiare. E poiché tutti questi mali derivano
dalla lotta fra gli uomini, dalla ricerca del benessere fatta da ciascuno per
conto suo e contro tutti, noi vogliamo rimediarvi sostituendo all'odio l'amore,
alla concorrenza la solidarietà, alla ricerca esclusiva del proprio benessere
la cooperazione fraterna per il benessere di tutti, alla oppressione ed
all'imposizione la libertà, alla menzogna religiosa e pseudoscientifica la
verità. Dunque:
1. Abolizione
della proprietà privata della terra, delle materie prime e degli strumenti di
lavoro, perché nessuno abbia il mezzo di vivere sfruttando il lavoro altrui, e
tutti, avendo garantiti i mezzi per produrre e vivere, siano veramente
indipendenti e possano associarsi agli altri liberamente; per l'interesse
comune e conformemente alle proprie simpatie.
2. Abolizione dei
Governo e di ogni potere che faccia la legge e la imponga agli altri: quindi
abolizione di monarchie, repubbliche, parlamenti, eserciti, polizie,
magistratura, ed ogni qualsiasi istituzione dotata di mezzi coercitivi.
3. Organizzazione
della vita sociale per opera di libere associazioni e federazioni di produttori
e consumatori, fatte e modificate secondo la volontà dei componenti, guidati
dalla scienza e dall'esperienza e liberi da ogni imposizione che non derivi
dalle necessità naturali, a cui ognuno, vinto dal sentimento stesso della
necessità ineluttabile, volontariamente si sottomette.
4. Garantiti i
mezzi di vita, di sviluppo, di benessere ai fanciulli ed a tutti coloro che
sono impotenti a provvedere a loro stessi.
5. Guerra alle
religioni ed a tutte le menzogne, anche se si nascondono sotto il manto della
scienza. Istruzione scientifica per tutti e fino ai suoi gradi più elevati.
6. Guerra alle
rivalità ed ai pregiudizi patriottici. Abolizione delle frontiere: fratellanza
fra tutti i popoli.
7. Ricostruzione
della famiglia in quel modo che risulterà dalla pratica dell'amore, libero da
ogni vincolo legale, da ogni oppressione economica o fisica, da ogni
pregiudizio religioso
2. Vie e mezzi
Abbiamo esposto a
sommi capi qual'è lo scopo che vogliamo raggiungere quale l'ideale pel quale
lottiamo.
Ma non basta
desiderare una cosa: se si vuole ottenerla davvero bisogna impiegare i mezzi
adatti al suo conseguimento. E questi mezzi non sono arbitrari, ma derivano,
necessariamente, dal fine cui si mira e dalle circostanze nelle quali si lotta;
giacché ingannandosi sulla scelta dei mezzi, non si raggiungerebbe il fine
propostosi, ma un altro, magari opposto che sarebbe conseguenza naturale,
necessaria, dei mezzi adoperati. Chi si mette in cammino e sbaglia strada, non
va dove vuole, ma dove lo porta la strada percorsa.
Occorre dunque,
dire quali sono i mezzi che, secondo noi, conducono allo scopo prefissoci, e
che noi intendiamo adoperare.
Il nostro ideale
non è di quelli il cui conseguimento dipende dall'individuo considerato
isolatamente. Si tratta di cambiare il modo di vivere in società, di stabilire
tra gli uomini rapporti di amore e solidarietà, di conseguire la pienezza dello
sviluppo materiale, morale e intellettuale, non per un dato partito, ma per tutti
quanti gli esseri umani - e questo non è cosa che si possa imporre colla forza,
ma deve sorgere dalla coscienza illuminata di ciascuno ed attuarsi mediante il
libero consentimento di tutti.
Nostro primo
compito quindi deve essere quello di persuadere la gente. Bisogna che noi
richiamiamo l'attenzione degli uomini sui mali che soffrono e sulla possibilità
di distruggerli. Bisogna che suscitiamo in ciascuno la simpatia pei mali altrui
ed il desiderio vivo del bene di tutti.
A chi ha fame e
freddo noi mostreremo come sarebbe possibile, e facile, assicurare a tutti la
soddisfazione dei bisogni materiali. A chi è oppresso e vilipeso, noi diremo
come si può vivere felicemente in una società di liberi e uguali; a chi è
tormentato dall'odio e dal rancore, noi additeremo la via per raggiungere,
amando i propri simili, la pace e la gioia del cuore.
E quando saremo
riusciti a far nascere nell'animo degli uomini il sentimento di ribellione
contro i mali ingiusti ed inevitabili di cui si soffre nella società presente,
ed a far comprendere quali sono le cause di questi mali e come dipenda dalla
volontà umana l'eliminarli; quando avremo ispirato il desiderio vivo,
prepotente, di trasformare la società per il bene di tutti, di coloro che li
han preceduti nella convinzione, si uniranno e vorranno, e potranno, attuare i
comuni ideali.
Sarebbe - lo
abbiam già detto - assurdo ed in contraddizione col nostro scopo di voler
imporre la libertà, l'amore fra gli uomini, lo sviluppo integrale di tutte le
facoltà umane, per mezzo della forza. Bisogna dunque contare sulla libera
volontà degli altri, e la sola cosa che possiamo fare è quella di provocare il
formarsi ed il manifestarsi di detta volontà. Ma sarebbe però egualmente
assurdo e contrario al nostro scopo l'ammettere che coloro i quali non la
pensano come noi c'impediscano di attuare la nostra volontà, sempre che essa
non leda il loro diritto ad una libertà uguale alla nostra.
Libertà dunque
per tutti di propagare ed esperimentare le proprie idee, senza altro limite che
quello che risulta naturalmente dall'eguale libertà di tutti.
Ma a questo si
oppongono - e si oppongono colla forza brutale - coloro che sono i beneficiari
degli attuali privilegi e dominano e regolano tutta la vita sociale presente.
Essi hanno in
mano tutti i mezzi di produzione; e quindi sopprimono non solo la possibilità
di esperimentare nuovi modi dì convivenza sociale, non solo il diritto dei
lavoratori di vivere liberamente col proprio lavoro, ma anche lo stesso diritto
all'esi-stenza; ed obbligano chi non è proprietario a lasciarsi sfruttare ed
opprimere se non vuole morire di fame.
Essi hanno
polizie, magistrature, eserciti creati appositamente per difendere i loro
privilegi; e perseguitano, incarcerano, massacrano coloro che vogliono abolire
quei privilegi e reclamano i mezzi di vita e la libertà per tutti.
Gelosi dei loro
interessi presenti ed immediati, corrosi dallo spirito di dominazione paurosi
dell'avvenire. essi, i privilegiati, sono, generalmente parlando, incapaci di
uno slancio generoso, sono incapaci benanco di una più larga concezione dei
loro interessi. E sarebbe follia sperare ch'essi rinunzino volontariamente alla
proprietà ed al potere, e si adattino ad essere gli eguali dì coloro che oggi
tengono sottoposti.
Lasciando da
parte l'esperienza storica (la quale dimostra che mai una classe privilegiata
si è spogliata, in tutto o in parte dei suoi privilegi, e mai un governo ha
abbandonato il potere se non vi è stato obbligato dalla forza o dalla paura
della forza), bastano i fatti contemporanei per convincere chiunque che la
borghesia ed i governi intendono impiegare la forza materiale per difendersi,
non solo contro l'espropriazione totale, ma anche contro le più piccole pretese
popolari, e son pronti sempre alle più atroci persecuzioni, ai più sanguinosi
massacri. Al popolo che vuole emanciparsi non resta altra via che quella di
opporre la forza alla forza.
Risulta da quanto
abbiamo detto che noi dobbiamo lavorare, per risvegliare negli oppressi il
desiderio vivo di una radicale trasformazione sociale, e persuaderli che
unendosi, essi hanno la forza di vincere; dobbiamo propagare il nostro ideale e
preparare le forze morali e materiali necessari a vincere le forze nemiche, e
ad organizzare la nuova società. E quando avremo la forza sufficiente dobbiamo,
profittando delle circostanze favorevoli che si producono o creandole noi
stessi, fare la rivoluzione sociale, abbattendo, colla forza, il governo,
espropriando, colla forza, i proprietari; mettendo in comune i mezzi di vita e
di produzione, ed impedendo che nuovi governi vengano ad imporre la loro
volontà e ad ostacolare la riorganizzazione sociale fatta direttamente dagli
interessati.
Tutto questo però
è meno semplice di quello che potrebbe a prima giunta parere. Noi abbiamo da
fare cogli uomini quali sono nell'attuale società, in condizioni morali e
materiali disgraziatissime; e c'inganneremo pensando che basta la propaganda
per elevarli a quel grado di sviluppo intellettuale e morale che è necessario
all'attua-zione dei nostri ideali.
Tra l'uomo e
l'ambiente sociale vi è un'azione reciproca. Gli uomini fanno la società come
essa è e la società fa gli uomini come essi sono, e da ciò risulta una specie
di circolo vizioso. Per trasformare la società bisogna trasformare gli uomini e
per trasformare gli uomini bisogna trasformare la società.
La miseria
abbruttisce l'uomo e per distruggere la miseria bisogna che gli uomini abbiano
coscienza e volontà. La schiavitù educa gli uomini ad essere schiavi e per
liberarsi dalla schiavitù v'è bisogno di uomini aspiranti alla libertà.
L'ignoranza fa sì che gli uomini non conoscano le cause dei loro mali e non
sappiano rimediarvi, e per distruggere l'ignoranza bisogna che gli uomini
abbiano il tempo ed il modo d'istruirsi.
Il governo abitua
la gente a subire la legge ed a credere che la legge sia necessaria alla
società; e per abolire il governo bisogna che gli uomini siano persuasi della
sua inutilità e del suo danno.
Come uscire da
questo circolo vizioso?
Fortunatamente la
società attuale non è stata formata dalla volontà illuminata di una classe
dominante, che abbia potuto ridurre tutti i dominati a strumenti passivi ed
incoscienti dei suoi interessi. Essa è il risultato di mille lotte intestine,
di mille fattori naturali ed umani agenti casualmente senza criteri direttivi;
e quindi non vi sono divisioni nette né tra gli individui né tra le classi.
Infinite sono le
varietà dì condizioni materiali; infiniti i gradi di sviluppo morale ed
intellettuale; e non sempre - diremmo quasi molto raramente - il posto che uno
occupa in società corrisponde alle sue facoltà ed alle sue aspirazioni.
Spessissimo alcuni individui cadono in condizioni inferiori a quelle a cui sono
abituati, ed altri, per circostanze eccezionalmente favorevoli, riescono ad
elevarsi a condizioni superiori a quelle in cui sono nati. Una parte notevole
del proletariato è già arrivata ad uscire dallo stato di miseria assoluta,
abbrutente, o non ha mai potuto esservi ridotta; nessun lavoratore, o quasi
nessuno si trova nello stato di incoscienza completa, di completa acquiescenza
alle condizioni che gli fanno i padroni. E le stesse istituzioni, quali sono
state prodotte dalla storia, contengono delle contraddizioni organiche che sono
come dei germi di morte, i quali sviluppandosi producono la dissoluzione dell'istituzione
e la necessità della trasformazione.
Da ciò la
possibilità dei progresso; ma non la possibilità di portare, per mezzo della
propaganda, tutti gli uomini al livello necessario perché vogliano e facciano
l'anarchia, senza un'anteriore graduale trasformazione dell'ambiente.
Il progresso deve
camminare contemporaneamente, parallelamente negli individui e nell'ambiente;
dobbiamo profittare di tutti i mezzi di tutte le possibilità, dì tutte le
occasioni che ci lascia l'ambiente attuale, per agire sugli uomini e sviluppare
la loro coscienza ed i loro desideri; dobbiamo utilizzare tutti i progressi
avvenuti nella coscienza degli uomini per indurli a reclamare ed imporre quelle
maggiori trasformazioni sociali che sono possibili e che meglio servono ad aprire
la via a progressi ulteriori.
Noi non dobbiamo
aspettare dì poter fare l'anarchia ed intanto limitarci alla semplice
propaganda. Se facessimo così, presto avremmo esaurito il campo; avremmo
convertiti cioè, tutti quelli che nell'ambiente sono suscettibili di
comprendere ed accettare le nostre idee e la nostra ulteriore propaganda
resterebbe sterile; o se delle trasformazioni d'ambiente elevassero nuovi
strati popolari alla possibilità di ricevere idee nuove, ciò avverrebbe senza
l'opera nostra, forse contro l'opera nostra e quindi con pregiudizio delle
nostre idee.
Noi dobbiamo
cercare che il popolo, nella sua totalità o nelle sue frazioni, pretenda,
imponga, prenda da sé tutti i miglioramenti, tutte le libertà che desidera, man
mano che giunge a desiderarle ed ha la forza di imporle; e propagandando sempre
tutto intero il nostro programma e lottando sempre per la sua attuazione
integrale, dobbiamo spingere il popolo a pretendere ed imporre sempre di più
fino a che non ha raggiunto l'eman-cipazione completa.
3. La lotta
economica
L'oppressione
che, oggi, più direttamente preme sui lavoratori, e che è la causa principale
dì tutte le soggezioni morali e materiali cui i lavoratori sottostanno, è
l'oppres-sione economica, vale a dire lo sfruttamento che i padroni e i
commercianti esercitano su di loro, grazie all'accaparramento di tutti i grandi
mezzi di produzione e di scambi.
Per sopprimere
radicalmente e senza pericolo di ritorno questa oppressione, occorre che il
popolo tutto sia convinto del diritto che esso ha all'uso dei mezzi di
produzione, e che attui questo suo diritto primordiale espropriando i detentori
dei suolo e di tutte le ricchezze sociali e mettendo quello e queste a
disposizione di tutti.
Ma si può ora
stesso metter mano a questa espropriazione? Si può oggi passare direttamente,
senza gradi intermedi, dall'inferno in cui si trova ora il proletariato, al
paradiso della proprietà comune?
I fatti
dimostreranno di che cosa i lavoratori sono oggi capaci. Compito nostro è
quello di preparare il popolo, moralmente e materialmente, a questa necessaria
espropriazione; e di tentarla e ritentarla, ogni volta che una scossa
rivoluzionaria ce ne presenta l'occasione fino al trionfo definitivo Ma in che
modo possiamo preparare il popolo? In che modo preparare le condizioni che
rendano possibile, non solo il fatto materiale dell'espropriazione, ma
l'utilizzazione, a vantaggio di tutti, della ricchezza comune?
Abbiamo detto
antecedentemente che la sola propaganda, parlata o scritta, è impotente a
conquistare alle nostre idee tutta quanta la grande massa popolare. Occorre una
educazione pratica, la quale sia a volta a volta causa ed effetto di una
graduale trasformazione dell'ambiente Occorre che a mano a mano che si
sviluppati nei lavoratori il senso di ribellione contro le ingiuste e inutili
sofferenze di cui son vittime, ed il desiderio di migliorare le loro
condizioni, essi, uniti e solidali tra loro, lottino per il conseguimento di
quel che desiderano. E noi, e come anarchici e come lavoratori, dobbiamo
provocarli ed incoraggiarli alla lotta e lottare con loro.
Ma sono possibili,
in regime capitalistico, questi miglioramenti? Sono essi utili, dal punto di
vista della futura emancipazione integrale dei lavoratori?
Qualunque siano i
risultati pratici della lotta per i miglioramenti immediati, l'utilità
principale sta nella lotta stessa. Con essa gli operai imparano ad occuparsi
dei loro interessi di classe, imparano che il padrone ha interessi opposti al
loro e che essi non possono migliorare le loro condizioni ed anche meno
emanciparsi, se non unendosi e diventando più forti dei padroni. Se riescono ad
ottenere quello che vogliono, staranno meglio: guadagneranno di più,
lavoreranno meno, avranno più tempo e più forza per riflettere alle cose che
loro interessano, e sentiranno subito desideri maggiori, bisogni maggiori. Se
non riescono, saran condotti a studiare le cause dell'insuccesso ed a
riconoscere la necessità di maggiore unione, di maggiore energia; e
comprenderanno infine che a vincere sicuramente e definitiva niente occorre
distruggere il capitalismo. La causa della rivoluzione, la causa
dell'elevamento morale del lavoratore e della sua emancipazione non possono che
guadagnare dal fatto che i lavoratori si uniscono e lottano per ì loro
interessi.
Ma, ancora una
volta, è possibile che i lavoratori riescano, nell'attuale stato di cose, a
migliorare realmente le loro condizioni?
Ciò dipende dal
concorso di una infinità di circostanze. Malgrado ciò che dicono alcuni, non
esiste una legge naturale (legge dei salari), la quale determina la parte che
va al lavoratore sul prodotto del suo lavoro: o, se legge si vuol formulare,
essa non potrebbe essere che questa: il salario non può scendere normalmente ai
disotto di quel tanto che è necessario alla vita, né può normalmente salire
tanto da non lasciare nessun profitto al padrone.
È chiaro che nel
primo caso gli operai morrebbero e quindi non riscuoterebbero più salario, e
nel secondo i padroni cesserebbero di far lavorare e quindi non pagherebbero
più salari. Ma tra questi i due estremi impossibili vi sono una infinità di
gradi, che vanno dalle condizioni miserabili di molti lavoratori agricoli fino
a quelle quasi decenti degli operai dei buoni mestieri nelle grandi città.
Il salario, la
lunghezza della giornata e tutte le altre condizioni del lavoro sono il
risultato della lotta tra padroni e lavoranti. Quelli cercano di dare ai
lavoranti il meno che possono e di farli lavorare fino a esaurimento completo;
questi cercano, o dovrebbero cercare, di lavorare il meno e guadagnare il più
che possono. Dove i lavoratori si contentano di tutto, o, anche essendo
scontenti. non sanno opporre valida resistenza ai padroni, sorto presto ridotti
a condizioni animalesche di vita: dove invece essi hanno un concetto alquanto
elevato del modo come dovrebbero vivere degli esseri umani, e sanno unirsi e,
mediante il rifiuto di lavoro e la minaccia latente o esplicita di rivolta,
imporsi rispetto ai padroni, essi sono trattati in modo relativamente
sopportabile. In modo che può dirsi che il salario dentro certi limiti, è
quello che l'operaio (non come individuo, s'intende, ma come classe) pretende.
Lottando dunque,
resistendo contro i padroni, i lavoratori possono impedire, fino ad un certo
punto. che le loro condizioni peggiorino ed anche ottenere dei miglioramenti
reali. E la storia del movimento operaio ha già dimostrato questa verità.
Bisogna però non
esagerare la portata di questa lotta combattuta tra operai e padroni sul
terreno esclusivamente economico. I padroni possono cedere, e spesso cedono,
innanzi alle esigenze operaie energicamente espresse, fino a quando non si
tratti di pretese troppo grosse, ma quando gli operai incominciassero (ed è
urgente elle incomincino) a pretendere un tale trattamento che assorbirebbe
tutto il profitto dei padroni e riuscirebbe così ad una espropriazione
indiretta, è certo che i padroni farebbero appello si governo e cercherebbero
di costringere gli operai a restare nella loro posizione di schiavi salariati.
Ed anche prima,
ben prima che gli operai possano pretendere di ricevere in compenso del loro
lavoro l'equivalente di tutto ciò che han prodotto, la lotta economica diventa
impotente a continuare a produrre il miglioramento delle condizioni dei
lavoratori.
Gli operai
producono tutto e senza di loro non si può, vivere: quindi sembrerebbe che
rifiutando il lavoro essi potessero imporre tutto ciò che vogliono. Ma l'unione
di tutti i lavoratori anche di un sol mestiere, anche di un sol paese, è
difficile ad ottenere, ed all'unione degli operai si oppone l'unione dei
padroni. Gli operai vivono alla giornata e, se non lavorano, presto mancano di
pane; mentre i padroni dispongono, mediante il denaro, di tutti i prodotti già
accumulati, e quindi possono tranquillamente aspettare che la fame abbia
ridotti a discrezione i loro salariati. L'invenzione o l'introduzione di nuove
macchine rende inutile l'opera di un gran numero di operai ed accresce il
grande esercito dei disoccupati, che la fame costringe a vendersi a qualunque
condizione. L'immigrazio-ne apporta subito nei paesi dove gli operai riescono a
star meglio, delle folle di lavoratori famelici che, volendo o no, offrono ai
padroni il modo di ribassare i salari. E tutti questi fatti, derivanti
necessariamente dal sistema capitalistico, riescono a controbilanciare il
progresso della coscienza e della solidarietà operaia: spesso camminano più
rapidamente di questo progresso e lo arrestano e lo distruggono. Ed in tutti i
casi resta sempre il fatto primordiale che la produzione, in sistema
capitalistico, è organizzata da ciascun capitalista per il suo profitto
individuale e non già per soddisfare come sarebbe naturale, nel miglior modo
possibile, i bisogni dei lavoratori. Quindi il disordine, lo sciupio di forze
umane, la scarsezza voluta dei prodotti, i lavori inutili e dannosi, la
disoccupazione, le terre incolte, il poco uso delle macchine ecc. - tutti mali
che non si possono evitare se non levando ai capitalisti il possesso dei mezzi
di lavoro e quindi la direzione della produzione.
Presto dunque si
presenta per gli operai, che intendono emanciparsi o anche solo di migliorare
seriamente le loro condizioni, la necessità di attaccare il governo, il quale,
legittimando il diritto di proprietà e sostenendola colla forza brutale,
costituisce una barriera innanzi al progresso, che bisogna abbattere colla
forza se non si vuole restare indefinitamente nello stato attuale e peggio.
Dalla lotta
economica bisogna passare alla lotta politica, cioè alla lotta contro il
governo; ed invece di opporre ai milioni dei capitalisti gli scarsi centesimi a
stento accumulati dagli operai, bisogna opporre ai fucili ed ai cannoni che
difendono la proprietà, quei mezzi migliori che il popolo potrà trovare per
vincere la forza con la forza.
4. La lotta
politica
Per la lotta
politica intendiamo la lotta contro il governo. Governo è l'insieme di
quegl'individui che detengono il potere, comunque acquistato, di far la legge
ed imporla ai governanti, cioè al pubblico.
Conseguenza dello
spirito di dominio e della violenza con cui alcuni uomini si sono imposti agli
altri, esso è, nello stesso tempo, creatore e creatura del privilegio e suo
difensore naturale.
Erroneamente si
dice che il governo compie oggi la funzione di difensore del capitalismo, ma
che abolito il capitalismo esso diventerebbe rappresentante e gerente degli
interessi generali. Prima di tutto il capitalismo non si potrà distruggere se
non quando i lavoratori, cacciato il governo, prendano possesso della ricchezza
sociale ed organizzino la produzione ed il consumo nell'interesse di tutti, da
loro stessi, senza aspettare l'opera di un governo il quale, anche a volerlo,
non sarebbe capace di farlo.
Ma v'è di più: se
il capitalismo fosse distrutto e si lasciasse sussistere un governo, questo,
mediante la concessione di ogni sorta di privilegi lo creerebbe di nuovo poiché
non potendo accontentar tutti avrebbe bisogno di una classe economicamente
potente che lo appoggi in cambio della protezione legale e materiale che ne
riceve.
Per conseguenza,
non si può abolire il privilegio e stabilire solidamente e definitivamente la
libertà e l'uguaglianza sociale se non abolendo il governo, non questo o quel
governo, ma l'istituzione stessa del governo.
Però, in questo,
come in tutti i fatti d'interesse generale, più che in qualunque altro occorre
il consenso della generalità: e perciò dobbiamo sforzarci di persuadere la
gente che il governo è inutile e dannoso, e che si può vivere meglio senza
governo.
Ma, come abbiamo
già ripetuto, la sola propaganda è impotente a convincere tutti - e se noi
volessimo limitarci a predicare contro il governo, aspettando altrimenti
inerti, il giorno in cui il pubblico sarà convinto della possibilità ed utilità
di abolire completamente ogni specie di governo, quel giorno non verrebbe mai.
Sempre predicando
contro ogni specie di governo, sempre reclamando la libertà integrale, noi
dobbiamo favorire tutte le lotte per le libertà parziali, convinti che nella
lotta s'impara a lottare e che incominciando a gustare un po' di libertà si
finisce col volerla tutta. Noi dobbiamo sempre essere col popolo, e quando non
riusciamo a fargli pretender molto, cercare che almeno cominci a pretender
qualche cosa: e dobbiamo sforzarci perché apprenda, poco o molto che voglia, a
volerlo conquistare da sé, e tenga in odio ed in disprezzo chiunque sta o vuole
andare al governo.
Poiché il governo
tiene oggi il potere di regolare, mediante le leggi, la vita sociale ed
allargare o restringere la libertà dei cittadini, noi non potendo ancora
strappargli questo potere, dobbiamo cercare di diminuirglielo e dì obbligarlo a
farne l'uso meno dannoso possibile Ma questo lo dobbiamo fare stando sempre
fuori e contro il governo, premendo su di lui mediante l'agitazione della
piazza minacciando di prendere per forza quello che si reclama. Mai dobbiamo
accettare una qualsiasi funzione legislativa, sia essa generale o locale,
poiché facendo così diminuiremmo l'efficacia della nostra azione e tradiremmo
l'avvenire della nostra causa.
La lotta contro
il governo si risolve, in ultima analisi, in lotta fisica, materiale.
Il governo fa la
legge. Esso dunque deve avere una forza materiale (esercito e polizia) per
imporre la legge, poiché altrimenti non vi ubbidirebbe che chi vuole ed essa
non sarebbe più legge, ma una semplice proposta che ciascuno è libero di
accettare e di respingere. Ed i governi questa forza l'hanno, e se ne servono
per potere con leggi fortificare il loro dominio e fare gl'interessi delle
classi privilegiate, opprimendo e sfruttando i lavoratori.
Limite
all'oppressione del governo è la forza che il popolo si mostra capace di
opporgli. Vi può essere conflitto aperto o latente, ma conflitto v'è sempre;
poiché il governo non si arresta innanzi il malcontento ed alla resistenza
popolare se non quando sente il pericolo dell'insurrezione.
Quando il popolo
sottostà docilmente alla legge, o la protesta è debole e platonica, il governo
fa i comodi suoi senza curarsi dei bisogni popolari; quando la protesta diventa
viva, insistente, minacciosa, il governo, secondo che è più o meno illuminato,
cede o reprime. Ma sempre si arriva all'insurrezione, perché se il governo non
cede, il popolo acquista fiducia in sé e pretende sempre di più, fino a che
l'incompatibilità tra la libertà e l'autorità diventa evidente e scoppia il
conflitto violento.
È necessario
dunque prepararsi moralmente e materialmente perché allo scoppio della lotta
violenta la vittoria resti al popolo.
L'insurrezione
vittoriosa è il fatto più efficace per l'emancipazione popolare, poiché il
popolo, scosso il giogo, diventi libero di darsi a quelle istituzioni che egli
crede migliori, e la distanza che passa tra la legge, sempre in ritardo, ed il
grado di civiltà a cui è arrivata la massa della popolazione, è varcata d'un
salto. L'insurrezione determina la rivoluzione, cioè il rapido attuarsi delle
forze latenti accumulate durante la precedente evoluzione.
Tutto sta in ciò
che il popolo è capace di volere. Nelle insurrezioni passate il popolo,
inconscio delle ragioni vere dei suoi mali, ha voluto sempre molto poco, e
molto poco ha conseguito.
Che cosa vorrà
nella prossima insurrezione? Ciò dipende in parte dalla nostra propaganda e
dall'energia che sapremo spiegare.
Noi dovremmo
spingere il popolo ad espropriare i proprietari e mettere in comune la roba, ed
organizzare la vita sociale da sé stesso, mediante associazioni liberamente
costituite, senza aspettare gli ordini di nessuno e rifiutando di nominare o
riconoscere qualsiasi governo, qualsiasi corpo costituito, che sotto un nome
qualunque (costituente, dittatura, ecc.) si attribuisca, sia pure a titolo
provvisorio, il diritto di far la legge ed imporre agli altri con la forza la
propria volontà.
E se la massa dei
popolo non risponderà all'appello nostro, noi dovremo - in nome del diritto che
abbiamo di esser liberi anche se gli altri vogliono restare schiavi e per
l'efficacia dell'esempio - attuare da noi quanto più potremo delle nostre idee,
e non riconoscere il nuovo governo, e mantenere viva la resistenza, e far si
che le località dove le nostre idee saranno simpaticamente accolte si
costituiscano in comunanze anarchiche, respingano ogni ingerenza governativa,
stabiliscano libere relazioni con le altre località e pretendano di vivere a
modo loro.
Noi dovremo,
soprattutto, opporci con tutti i mezzi alla ricostituzione della polizia e
dell'esercito, e profittare dell'occasione propizia per eccitare i lavoratori
delle località non anarchiche a profittare della mancanza di forza repressiva
per imporre quelle maggiori pretese che a noi riesca indurli ad avere.
E comunque vadano
le cose continuare sempre a lottare, senza un istante di interruzione, contro i
proprietari e contro i governanti avendo sempre in vista la emancipazione
completa, economica, politica e morale di tutta quanta l'umanità.
5. Conclusione
Noi vogliamo
dunque abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo,
noi vogliamo che gli uomini affratellati da una solidarietà cosciente e voluta
cooperino tutti volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la
società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi
per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo
morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza.
E per raggiungere
questo scopo supremo noi crediamo necessario che i mezzi di produzione siano a
disposizione di tutti, e che nessun uomo, o gruppo di uomini possa obbligare
gli altri a sottostare alla sua volontà né esercitare la sua influenza
altrimenti che con la forza della ragione e dell'esempio.
Dunque,
espropriazione dei detentori dei suolo e del capitale a vantaggio di tutti,
abolizione del governo. Ed aspettando che questo si possa fare: propaganda
dell'ideale; organizzazione delle forze popolari; lotta continua, pacifica o
violenta secondo le circostanze, contro il governo e contro i proprietari per
conquistare quanto più si può di libertà e di benessere per tutti.
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